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Il fantasma della corrosione...
…ed altri meno conosciuti.
C'è una scena che si ripete, in ambulatori e studi di tutta Italia:
il medico si piega sul lavandino, osserva il suo flacone di disinfettante liquido, e con l'aria di chi crede ancora nei talismani mormora:
«Io uso questo, è più sicuro. Non corrode».
A quel punto, il secolo XXI sospira.
Perché mentre la medicina corre verso la rigenerazione tissutale, la chirurgia robotica e la genomica predittiva, in qualche stanza bianca c'è ancora chi combatte un nemico immaginario: l'acido peracetico.
E insieme a quel fantasma ce ne sono altri, meno conosciuti: la paura del nuovo, la pigrizia vestita da prudenza, l'illusione che "basti lavare bene".
1. La nostalgia del disinfettante che "non fa male"
Ci sono nostalgie rispettabili: quella del vinile, della penna stilografica, persino del camice inamidato a mano.
Ma c'è una nostalgia che andrebbe curata: quella per i disinfettanti "del tempo che fu", le soluzioni blande, profumate e inefficaci contro le spore.
È la nostalgia del liquido che non sporca, non corrode, non disturba – e, purtroppo, non decontamina davvero.
E chi la coltiva, spesso, dimentica che il bagno di ammollo non serve a far brillare gli strumenti, ma a proteggere le persone.
Perché prima che la vaschetta serva al metallo, serve all'uomo:
a chi immerge, a chi lava, a chi sterilizza, a chi torna a casa la sera con le mani che hanno toccato la zona più pericolosa del mestiere.
Un disinfettante inefficace non è solo inutile – è una ferita potenziale che galleggia nella vaschetta.
2. L'evidenza che non si piega all'abitudine
Già nel 2015, una ricerca indipendente condotta su campioni di acciaio inox AISI 304L dimostrò che due diverse formulazioni di acido peracetico garantivano efficacia antimicrobica senza corrosione significativa se usate correttamente.
Nel 2021, un altro gruppo confrontò il peracetico al 2 % con la sterilizzazione a vapore: meno corrosione uniforme, qualche pitting microscopico e strumenti perfettamente funzionali.
Eppure, molti continuano a temere l'acido più della contaminazione.
Meglio credere che "rovini gli strumenti" che ammettere di non sapere usarlo.
Ma la verità è più semplice: un disinfettante non sporicida espone chi lavora.
Ogni volta che uno strumento contaminato entra in un bagno troppo "gentile", le spore restano lì, vive e invisibili.
E chi lo prenderà in mano al lavaggio – medico, assistente o tecnico – sarà la prima barriera biologica, non la seconda.
3. La cultura del "non si è mai fatto così"
C'è un tratto antropologico curioso nella nostra sanità: la fede nel "si è sempre fatto così".
Il dottore che diffida del peracetico non è ignorante: è devoto.
Devoto alla propria abitudine, alla memoria delle sue mani.
Ma la microbiologia non rispetta la memoria.
Le spore di Clostridium e Bacillus non chiedono permesso: resistono.
E se non vengono inattivate nell'ammollo, seguiranno lo strumento nel lavandino, nelle setole della spazzola, fino alla superficie di lavoro.
Un disinfettante debole non protegge nessuno: sposta semplicemente il rischio da una fase all'altra.
L'acido peracetico, invece, lo ferma sul nascere.
4. La paura come disinfettante
La paura è un ottimo deodorante, ma un pessimo antisettico.
Molti professionisti non hanno mai avuto problemi perché, per fortuna, non è capitato nulla.
Ma la fortuna non è un protocollo.
Il bagno di acido peracetico non è "aggressivo": è la vera barriera che separa chi lavora con strumenti contaminati da chi lavora in sicurezza.
È il filtro invisibile che impedisce che l'invisibile arrivi alle dita, alle maniche, ai rubinetti, alle famiglie.
Un disinfettante inefficace, invece, è come un guanto bucato: non lo noti finché non serve davvero.
5. Il bagno che salva le mani
Ogni studio, ogni ambulatorio ha un momento in cui si decide se la giornata finirà tranquilla o con un rischio.
È quando si apre la vaschetta.
Lì dentro non c'è solo acqua e prodotto: c'è la differenza tra protezione e esposizione.
Chi sceglie un disinfettante blando per "prudenza" sta scegliendo di affidare la propria sicurezza al caso.
Chi usa l'acido peracetico, invece, chiude la porta al rischio prima che la mano tocchi l'acciaio.
Non è un dettaglio tecnico, è un atto etico.
Proteggere chi lavora è la prima forma di sterilità.
6. Il mito del metallo
Temere che l'acido corrompa il metallo e dimenticare che la contaminazione può corrompere la vita è un curioso rovesciamento di valori.
Il metallo si cambia; la carne no.
Eppure la leggenda resiste: "meglio delicato, così non rovino gli strumenti".
Ma uno strumento lucido e contaminato è come un bisturi di cristallo: bello, ma inutile.
Meglio un bisturi opaco ma sicuro, che uno perfetto e infetto.
L'acido peracetico non corrode il metallo: corrode le scuse.
E quando le scuse finiscono, inizia la sicurezza vera.
7. L'intelligenza del peracetico
Il peracetico non ha opinioni, non chiede fiducia: lavora.
Ossida, disattiva, neutralizza.
E poi si dissolve in acqua, ossigeno e acido acetico.
Non profuma, non maschera, non consola: protegge.
È la risposta chimica a un dovere morale.
E mentre altrove il suo impiego è ormai standard – in ospedali, cliniche, sale operatorie – da noi è ancora un "argomento di discussione".
Ma la discussione è un lusso che chi lava strumenti contaminati non può permettersi.
8. La prudenza che espone
C'è una prudenza che salva e una prudenza che tradisce.
La prima studia, verifica, aggiorna.
La seconda teme, rimanda, minimizza.
Molti dicono "meglio non rischiare con l'acido", ma in realtà è proprio non usarlo che è un rischio.
Non per le pinze, ma per le persone.
Ogni ciclo di ammollo inefficace è un'arma carica lasciata sul tavolo.
Il vero professionista non teme ciò che è forte, teme ciò che non funziona.
E in questo mestiere, ciò che non funziona mette in pericolo chi lavora al suo fianco.
9. I fantasmi che restano
Il fantasma della corrosione è solo il primo: dietro di lui ci sono quelli più subdoli – la paura di cambiare, la pigrizia di aggiornarsi, la fiducia cieca nel "vecchio prodotto che mi ha sempre salvato".
Ma i tempi cambiano, e con loro i rischi.
Chi lavora oggi non può più permettersi il lusso di scegliere per nostalgia.
Ogni flacone scelto male è un'occasione in più per il caso di entrare in sala.
L'acido peracetico non è la soluzione perfetta; è semplicemente quella giusta, comprovata, protettiva.
E per chi lavora ogni giorno tra strumenti contaminati, questo basta e avanza.
10. La vera corrosione
Alla fine, la sola corrosione che merita paura non è quella del bisturi, ma quella della mentalità.
L'inerzia corrode più del peracetico, e la prudenza mal riposta è la ruggine della competenza.
Un operatore che usa un disinfettante debole per "andare sul sicuro" dimentica che la sicurezza vera è proteggere la propria vita e quella dei colleghi.
Un professionista che sceglie il peracetico sceglie invece di essere moderno, coerente, responsabile.
Perché la vaschetta non è un gesto tecnico: è una dichiarazione di valore.
Dice se tieni più all'acciaio o a chi lo tocca.
Andrea Macchion
– Editoriale per Sterilizzo.it-